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Autismo: collaborazione vincente tra insegnanti e bambini
Autismo: collaborazione vincente tra insegnanti e bambini

Autismo: collaborazione vincente tra insegnanti e bambini

| Maddalena Vario | caffè scientifico
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Colloquio con il dott. Zancanaro

Le tecnologie collaborative del progetto COSPATIAL si riferiscono a superfici informatiche attive e ad ambienti virtuali per promuovere l’apprendimento di competenze sociali nei bambini autistici.

Spesso l’uso del computer viene accusato proprio di favorire l’isolamento, che è la tendenza tipica dei bambini affetti da autismo. Ci può spiegare qual è la vostra strategia?

Le critiche sull’uso del computer e dell’informatica più in generale sono sensate, infatti il nome stesso Personal Computer riflette la propensione all’isolamento di questo strumento.

Noi proponiamo un totale cambiamento di prospettiva, utilizzando un modello basato su teorie cognitive comportamentali che utilizza strumenti condivisi. In particolare, usiamo una nuova generazione di sistemi detti Active Shared Surfaces o tabletop computer che sono una specie di Group Computer (che si basano su un concetto proprio opposto a quello del Personal Computer). In genere sono dei touchscreen ma abbiamo anche una versione software che trasforma un computer normale in un computer di gruppo usando più mouse collegati allo stesso computer. Per quanto riguarda invece gli ambienti virtuali, ci riferiamo a qualcosa di molto simile al mondo virtuale di “Second Life”.

Massimo Zancanaro
Massimo Zancanaro

Fondazione Bruno Kessler
Responsabile di unità di ricerca I3 Intelligent Interface Interaction
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Oggi non va più tanto di moda ma ci sono tanti altri ambienti virtuali collaborativi che permettono di simulare delle situazioni e quindi dei comportamenti, trasformando l’ambiente virtuale in una vera e propria palestra per i bambini con autismo. In questo modo riusciamo a prendere ciò che di positivo c’è nel computer e a fare tesoro proprio del fatto che i bambini autistici si trovano molto a proprio agio con gli strumenti informatici.

Come funzionano esattamente le tecnologie collaborative?

Per quanto riguarda il Group Computer, partendo dai dispositivi touchscreen, sono stati realizzati dei programmi che permettono al terapista di coinvolgere i bambini in una serie di attività strutturate. Questi software possono essere dei giochi o delle attività diverse ma tutti includono una serie di schemi collaborativi: scegliere insieme, vincoli sugli oggetti, ruoli diversi. Le faccio un esempio: in un gioco che proponiamo i bambini sono attorno ad un tavolo e utilizzano una piattaforma collaborativa per raccogliere con un secchio delle gocce di pioggia.

Fondazione Bruno Kessler

Logo Fondazione Bruno Kessler

FBK è un Istituto di ricerca della Provincia autonoma di Trento, collegato alla rete della ricerca GARR, che promuove la ricerca nel campo della scienza, della tecnologia e scienze umane. Grazie ad una fitta rete di alleanze e collaborazioni, FBK svolge attività di ricerca in fisica nucleare teorica, networking e telecomunicazioni e scienze sociali.

https://www.fbk.eu

Ovviamente se il bambino sposterà il secchio da solo, questo risulterà molto pesante, se invece si farà aiutare dall’altro bambino, riuscirà a spostarlo con molta più velocità e a raccogliere più gocce di pioggia, raggiungendo quindi l’obiettivo. Un bambino a fine partita ha commentato: “Si certo, si può giocare da soli saltando da una sedia all’altra, però non lo consiglio, non viene bene!” Il bambino ha quindi ammesso che ha bisogno dell’altro bambino per collaborare, è avvenuto il riconoscimento dell’altro che è il nostro obiettivo principale!
Ovviamente la dimostrazione della validità del sistema si ha quando il lavoro di gruppo viene ripetuto senza l’utilizzo dei sistemi COSPATIAL. Quando ritornano a giocare insieme, cambia il loro comportamento? L’essere stati indotti con il sistema COSPATIAL alla collaborazione, migliora le loro competenze sociali in un ambiente “normale”? Gli aspetti di socialità aumentano? Le valutazioni anche di tipo clinico fatte nell’ambito del progetto, mettendo a confronto gruppi che facevano cose simili con modalità diverse, tendono a dimostrare che questo tipo di strumenti aiutano non solo a “fare” le cose giuste (più collaborazione nei task) ma anche a mantenere parte di queste competenze in attività di contesti diversi (trasferimento di competenze). Ovviamente, questo è solo l’inizio e servirebbe fare molta più ricerca ed esperienza con questi strumenti.

E riguardo gli ambienti virtuali?

Gli ambienti virtuali sono un altro approccio usato in COSPATIAL. Si tratta di ambienti ricostruiti virtualmente su un computer normale. Il bambino lo vede come un videogioco ma può “sperimentare” diverse strategie. Ad esempio sull’autobus un bambino autistico potrebbe entrare ed andare dritto ad un posto vuoto per sedersi e gli si mostra invece quale sia il comportamento corretto e notare ad esempio se c’è qualche anziano che ha bisogno di sedersi. In altre sperimentazioni, due o più bambini si trovano in questi ambienti virtuali (ognuno da un proprio computer che possono essere ubicati anche in località geografiche differenti) per fare delle attività che richiedono collaborazione (ad esempio per costruire una torre con dei quadrati di colori diversi devo chiedere all’altro bambino quale sia il colore del suo mattoncino).

L’accesso remoto ha il grande vantaggio che può ridurre l’ansia, aiutando il bambino a vivere questi momenti molto impegnativi e di contro la presenza virtuale aiuta ancora una volta a “riconoscere” l’altro nella collaborazione.

Il progetto ha visto la collaborazione di ricercatori di diverse discipline e di diversi paesi. Come la rete della ricerca vi ha supportato?

La rete della ricerca è stata fondamentale, in quanto ci ha permesso di collaborare agevolmente con tecnologi e terapisti dell’Università di Nottingham, Birmingham e Southampton e delle Università israeliane di Haifa e Bar-Ilan, collegate a loro volta alla loro rete della ricerca nazionale. I tecnologi avrebbero potuto realizzare da soli questo tipo di applicazioni ma avrebbero realizzato solo delle demo magari più belle da vedere ma difficilmente usabili dai bambini e dagli insegnanti (e probabilmente non accettate da questi). Viceversa, i terapisti non avrebbero mai pensato all’utilizzo di queste tecnologie e alle loro potenzialità se non le avessimo mostrate noi. È stato il lavorare insieme che ha permesso di fare qualcosa di nuovo e utile allo stesso tempo. L’interdisciplinarietà del progetto è stata dunque resa possibile proprio dalla rete della ricerca che ci ha permesso di collaborare in maniera efficace, avendo a disposizione una rete ad alta velocità oltre che affidabile e sicura. Ovviamente il processo non è stato facile, spesso ha dato luogo ad incomprensioni e frustrazioni ma alla fine la professionalità, il rispetto reciproco, e il desiderio di fare cose utili hanno permesso di raggiungere gli obiettivi. Io lo chiamo: constructive misunderstandings. Infine, nelle applicazioni di realtà virtuale, con una rete affidabile e a larga banda, tra le possibilità da esplorare c’è la partecipazione dei bambini alle attività da postazioni ubicate in diversi luoghi anche difficili da raggiungere e geograficamente svantaggiati.

Il progetto è durato tre anni e si è appena concluso. Quali sono i risultati più importanti che avete ottenuto?

Abbiamo prodotto un quadro di conoscenze su come progettare tecnologie per questa categoria di utenti e nel farlo abbiamo anche sviluppato dei sistemi e verificato, in vari modi, in quale misura “funzionano”, cioè se sono un valore aggiunto per i terapisti nel processo di insegnamento delle competenze sociali a bambini sullo spettro autistico. La cosa più interessante per noi è che i sistemi COSPATIAL sono stati costruiti insieme agli insegnanti stessi, abbiamo visto in che modo gli insegnanti hanno fatto propri questi strumenti, e come li abbiano aiutati a controllare il gruppo sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale. Al bambino veniva data la possibilità di riflettere sul suo comportamento e allo stesso tempo gli si mostrava come potersi comportare: una perfetta fusione tra l’approccio cognitivo tipico della psicoterapia e l’approccio comportamentale, tipico ad esempio del coaching. Il gioco può essere modulato in modo che l’insegnante possa influire sulle attività che fanno i bambini, ed è questa la grande differenza con altri strumenti come la playstation, dove si possono si creare situazioni di gruppo collaborative ma gli insegnanti hanno poco controllo sul gruppo.

Quale sarà il futuro?

Alcuni di questi sistemi sono usati in 2 scuole in Inghilterra e in alcuni centri no profit in Inghilterra, Italia e Israele. Speriamo che alcune aziende che producono software didattici possano imparare vedendo le nostre tecnologie e leggendo gli articoli pubblicati nelle conferenze scientifiche per poi sviluppare nuovi programmi usando quello che noi abbiamo imparato e divulgato. Ci dovrebbero essere delle aziende per finanziare i software e aggiornare i prototipi. Va sicuramente detto che la cosa molto positiva è che si sta cominciando a prendere atto che ai bambini autistici vanno insegnate le competenze sociali allo stesso modo in cui si insegnano la matematica e le lingue straniere: se presi in tempo i bambini affetti da autismo possono imparare a convivere con l’autismo e a condurre da adulti una vita in totale autonomia.

Per maggiori informazioni: https://cospatial.fbk.eu

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