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Dal nanotech una risposta ai problemi del pianeta
| Carlo Volpe | caffè scientifico
Colloquio con il prof. Cingolani
Professor Cingolani, le nanotecnologie sono uno dei campi scientifici più interessanti per le sue potenzialità, che definizione ne darebbe?
Negli ultimi anni tutte le tecnologie, dalla biologia alla scienza dei materiali, sono arrivate alla scala del nanometro e, con il raggiungimento di questo livello, la nanotecnologia ha perso un po’ di significato come disciplina unificata.
Adesso vale il discorso che si può fare, ad esempio, per l’ingegneria: non ha più senso parlarne in senso lato, ma occorre specificare se si tratta di ingegneria nucleare, navale, edile… Nanotech, dunque vuol dire avere a disposizione tecnologie che consentono di manipolare pochi atomi e quindi, da questo punto in poi, si può far tutto: si può andare dal farmaceutico, al materiale innovativo, alla protesi, al tessuto con proprietà straordinarie.
Le nanoscienze, dunque, ormai più che un campo scientifico sono una tecnologia pervasiva: tutto ciò che opera al livello della scala del nanometro è nanotech, e questo è diventato il limite di dimensione sul quale le tecnologie si confrontano. Il discorso adesso è spostato piuttosto sul livello di architetture, ovvero si possono costruire delle infrastrutture atomiche più complesse di quelle naturali oppure copiare delle architetture naturali che sono molto ben collaudate.
Roberto Cingolani
IIT - Istituto Italiano di Tecnologia
Direttore Scientifico
Che rapporto c’è con la natura? In laboratorio è possibile riprodurre artificialmente tutto ciò che esiste già?
Ci sono due aspetti da considerare: il primo è che noi abbiamo moltissimo da copiare. L’evoluzione in 3 miliardi e mezzo di anni ha fatto un percorso molto selettivo, e ha reso possibile l’esistenza di macchine quasi perfette, basti pensare al metabolismo energetico dell’essere umano. Quindi la prima prospettiva, potendo ricostruire atomo per atomo architetture molto complesse, è di produrre tecnologie che siano biomimetiche, cioè che imitino la natura. Questa non è una cosa da poco. Se si prende come esempio la computazione, noi ora i conti li facciamo con calcolatori a base di silicio che scambiano informazioni sotto forma di elettroni, di impulsi elettrici. Se fosse la soluzione migliore, probabilmente la natura ci avrebbe fatto evolvere in questa direzione, mentre il nostro cervello è fatto di acqua, carbonio, idrogeno, ossigeno e invece di scambiare elettroni scambia ioni, che sono atomi pesanti, in acqua. Il modello dell’architettura quindi è profondamente diverso e copiarlo aprirebbe delle sfide straordinarie.
La Fondazione IIT è stata istituita nel 2003 ed è un centro di riferimento internazionale per la ricerca scientifica ad alto contenuto tecnologico. L’IIT è distribuito in una decina di centri, alcuni presso università o centri di ricerca di eccellenza. Le sedi sono connesse alla rete GARR con collegamenti a banda ultralarga
https://www.iit.it
Il secondo aspetto è che se un giorno, molto lontano, noi fossimo in grado di copiare tutto quello che l’evoluzione ha prodotto, la nuova sfida sarebbe quella di inventare un sistema performante, post-evoluzione, per andare oltre e migliorare quello che ora è considerato il gradino più alto dell’evoluzione, ovvero l’essere umano: si potrebbe immaginare di migliorare le prestazioni del cervello, di mettere le ali all’uomo e così via.
Non ci sarebbero più limiti dunque?
I limiti esistono: i nostri risultati sono ancora piuttosto lontani rispetto al magnifico lavoro che ha fatto la natura e poi ci sono limiti di tipo etico. La nanotecnologia, per come le vedo io, è un insieme di strumenti e metodi che, data la tavola degli elementi, permette di mettere insieme gli atomi. Questa operazione non ha nessuna forma di etica, si tratta semplicemente di atomi, che come mattoncini Lego possono essere modulati a piacimento. Il problema etico si sposta su un piano non banale, ovvero relativamente al controllo, alla tossicità, all’etica dell’utilizzo.
Ci sono ancora dei punti interrogativi sugli effetti e i rischi delle nanotecnologie?
Il problema più importante è che il sistema immunitario dell’uomo è in grado di rilevare solo oggetti di una certa dimensione: un virus, ad esempio, misura circa un micron. Se si lavora su oggetti artificiali molto piccoli, ad esempio una decina di nanometri, nessun sistema biochimico del corpo umano è in grado di rilevarli e quindi possono viaggiare piuttosto facilmente nell’organismo, passare membrane cellulari ed entrare dove non dovrebbero e lì potrebbero legarsi chimicamente e causare delle mutazioni. Identificare quali nano-oggetti possono essere nocivi e quali sicuri è un obiettivo importante, su cui l’IIT sta orientando parte della sua ricerca. Ad esempio, si sa già abbastanza bene che esistono delle nanoparticelle tossiche che, se ricoperte da un polimero, con una superficie che si dispordice “passivata”, non lo sono più. Ovviamente il passo successivo è indagare quanto può durare la copertura del polimero all’interno del corpo umano. Questo discorso assume una particolare rilevanza se si considera che alcuni nano-oggetti sono già presenti in moltissime attrezzature e dispositivi di uso quotidiano: dal rivestimento antiaderente delle padelle, ai display touchscreen, alla fibra di carbonio delle biciclette. Si tratta di oggetti con i quali veniamo in contatto ed è bene studiarne gli effetti. Questo settore si chiama nanotossicologia ed è sempre più investigato.
Non ha senso alimentare allarmismi, ma neanche prendere sottogamba il tema com’è stato fatto in passato con l’amianto, che sembrava la soluzione a tutti i problemi edili invece si è rivelato molto pericoloso. C’è davvero molto da scoprire, ma c’è assoluta coscienza della delicatezza della questione da parte dei ricercatori. Ci sono moltissimi progetti europei, giapponesi, americani ed enormi comunità che lavorano su questi temi.
“Quando un oggetto è molto piccolo quasi tutti i suoi atomi sono sulla superficie e non nel volume e poiché la reattività chimica dei materiali dipende dal rapporto tra superficie e volume è molto frequente che anche materiali inerti come l’oro diventino molto reattivi”, ci spiega Roberto Cingolani. “In questi casi l’interazione con il sistema vivente può avere effetti inaspettati dei quali sappiamo poco e che perciò vanno studiati con accuratezza. La complessità è ancora più elevata se si considera che le nanostrutture hanno proprietà estremamente variegate: dalla composizione chimica, alla forma, alla dimensione ed ogni variabile altera enormemente gli effetti”.
Multidisciplinarietà, sostenibilità ambientale ed economica sono alcune delle parole chiave in questo settore. Qual è, secondo lei, il vero valore aggiunto delle nanoscienze?
Più che individuare parole chiave, considererei il valore aggiunto che le nanotecnologie portano in specifici settori. Le parole chiave sono sempre un po’ pericolose, ad esempio la sostenibilità potrebbe essere anche quella di un agricoltore, che segue il ciclo del sole, coltiva la terra e vive in una casa di legno. E non c’è bisogno di nanotecnologie per questo. Io credo che il valore aggiunto vada cercato in alcuni settori di applicazione dove le nanotecnologie diventano fondamentali. Penso alla diagnostica e alla cura, alla possibilità di fare diagnosi precoce analizzando il singolo bioevento, oppure di rilasciare farmaci in modo controllato e mirato laddove serve realmente, o realizzare farmaci selettivi che possano riconoscere la cellula malata lasciando inalterata quella sana.
Un altro settore chiave è quello dell’energia, con la sfida di riuscire ad ottenere sorgenti di produzione e di accumulazione sempre più leggere, compatte ed efficaci. Prendendo spunto dalla natura, mi piace immaginare che si possano realizzare telefonini alimentati da zuccheri oppure elettrodomestici che funzionino con gli scarti di cibo organico, processati per generare energia. La trasformazione dei materiali è una cosa alla quale pensare per il futuro: partendo da materiali biologici si possono realizzare oggetti molto resistenti e leggeri ma che al termine del loro ciclo di vita si possono lasciare nell’ambiente perché biodegradabili. Uno dei grandi vantaggi di poter costruire strutture atomo per atomo è che tutto è parte dalla natura e tutto ci deve rientrare in tempi compatibili con le nostre vite. Il problema dello smaltimento dovrebbe scomparire. Un altro ambito di importanza vitale è quello dell’acqua. Qui il nanotech può fare moltissimo per salvare le falde, per purificare l’acqua e renderla più economica. Si tratta di temi di importanza capitale per l’umanità, soprattutto in un pianeta sovrappopolato che avrà sempre più problemi di risorse energetiche, idriche, ambientali nonché disuguaglianze nella loro distribuzione.
dati sulla partecipazione ai programmi europei mostrano che nel settore delle nanotecnologie l’Italia è seconda solo alla Germania. Da dove deriva questa eccellenza del nostro paese?
In Italia, in questo settore c’è una leadership abbastanza consolidata e riconosciuta dalla comunità scientifica. A mio avviso, il risultato dipende dal fatto che si tratta di un settore nuovo, dove c’è una fortissima interdisciplinarità, quindi almeno nella fase iniziale la fantasia, le idee, la capacità di innovare hanno prevalso sulla “forza bruta”, sul finanziamento, sulla disponibilità di grandi infrastrutture, che peraltro in Italia non mancano perché siamo ben equipaggiati da questo punto di vista. D’altra parte, anche se sembra uno stereotipo, è vero che lo scienziato italiano mediamente ha grandi capacità creative e di immaginazione.
Come prospettiva futura, penso che nell’ambito di progetti nanotech si tornerà a una maggiore specializzazione settoriale perché ormai vi sono in piedi tecnologie e metodologie che possono essere usate in diversi campi. Tuttavia, è vero anche che si è innescato un meccanismo di forti interazioni multidisciplinari, perché spesso la stessa nanotecnologia serve a più settori e quindi c’è anche spazio per iniziative di grandi dimensioni. In questo senso, disporre di grandi infrastrutture facilita la nascita di nuove idee, perché è possibile mettere insieme scienziati della vita e dei materiali creando un forte valore aggiunto. In Italia, il panorama è competitivo perché ci sono diversi grandi laboratori e il nostro Istituto è tra i più prestigiosi in Europa e nel mondo.
L’IIT è coinvolto in moltissimi progetti di nanotecnologia, quali sono quelli di maggiore rilevanza?
L’impatto maggiore, lo vedo anche dai rapporti con le imprese e dai brevetti depositati, è dato da quelli che chiamiamo “Smart Materials”: plastiche biodegradabili, spugne che separano l’acqua dall’olio, carte impermeabili o che diventano magnetiche. Nanotecnologie molto trasversali che rendono un materiale “stupido”, molto intelligente. Si tratta di “truccare” materiali comuni in modo da ottenere prestazioni inaudite, dando un enorme aiuto alla biocompatibilità e alla sostenibilità.
Applicazioni di questo tipo vanno dal packaging alimentare ai beni culturali. Un altro settore fondamentale è quello della diagnostica o del rilascio mirato dei farmaci (drug delivery) con nanovettori che trasportano il medicinale, riconoscono la cellula malata e solo lì agiscono aiutandoci anche a individuare la localizzazione trasmettendo un segnale.
Quale ruolo giocano le infrastrutture digitali e la disponibilità di collegamenti di rete ad altissima capacità?
È imprescindibile avere un’infrastruttura di rete ad alta capacità. C’è molto calcolo in quello che facciamo, simulazioni e modelling e quindi è fondamentale avere infrastrutture ICT avanzate. L’IIT è distribuito sul territorio nazionale con una decina di laboratori e spesso la mobilità fisica è sostituita dal digitale. Oggi ci si può parlare in qualunque ora del giorno e della notte, guardandosi in faccia e scambiandosi dati in tempo reale. D’altra parte, le reti sono la penna del XXI secolo. Quando sono comparsi gli inchiostri e le penne nel XVIII secolo probabilmente ci si chiedeva quale fosse il ruolo della scrittura accessibile a tutti. Oggi senza i supporti digitali in rete non si potrebbe fare nulla, l’informazione viaggia attraverso il pianeta in tre decimi di secondo. Cinquanta anni fa ci volevano tre settimane e, siccome tutto è velocità poiché i dati circolano e vengono prodotti in continuazione, avere la possibilità di trasferirli in tempo reale o di controllare la strumentazione è fondamentale. Così come è impensabile studiare senza avere una penna, lo è anche fare ricerca senza dotarsi di reti ad alta velocità.
Per maggiori informazioni: https://www.iit.it
Un atleta al massimo sforzo può dissipare una potenza di 600-700 Watt, quasi quanto un elettrodomestico, ma la differenza è nell’alimentazione: per l’uomo basta l’equivalente di una barretta di cioccolato, mentre una lavatrice necessita di molta corrente. Questo dimostra l’elevatissima efficienza energetica dell’uomo e come la natura ci indichi la strada migliore con processi collaudatissimi.
Super Carta
In base alle nanoparticelle con cui viene trattata, la carta può assumere diverse caratteristiche: impermeabile, antibatterica, autopulente, fluorescente o magnetica. È facile immaginare innumerevoli applicazioni di tale scoperta nella vita di tutti i giorni
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