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La tecnologia (come la natura) procede per salti
| Joy Marino | ieri, oggi, domani
”nello stesso tempo in cui la signora Ph(i)Nko pronunciava quelle parole: «… le tagliatelle, ve’, ragazzi!» il punto che conteneva lei e noi tutti s’espandeva in una raggiera di distanze d’anni-luce e secoli-luce e miliardi di millenni-luce, e noi sbattuti ai quattro angoli dell’universo…” (Italo Calvino, “Tutto in un punto”, da “Le Cosmicomiche”)
Laureato in Ingegneria elettronica all’Università di Genova, dove ha insegnato Sistemi Operativi, realizza, alla fine degli anni ‘80, la prima rete Internet aperta all’utenza non accademica (IUnet) e poco dopo contribuisce alla creazione di EUnet, la maggiore rete aperta europea. Nel 1994 lascia la carriera accademica per costituire ITnet S.p.A. di cui è stato Amministratore delegato fino al 2000. Tra i promotori dell’Associazione Italiana Internet Provider, ne è stato il Presidente fino al 1997. Ha ricoperto vari incarichi dirigenziali e istituzionali e attualmente è Presidente del Milan Internet eXchange
Sono molto affezionato a quest’immagine fantastica di Italo Calvino, che per me esprime al meglio il potere dell’immaginazione: la nostra capacità di concepire quello che non esiste e che, solo per il fatto di essere immaginabile, dà vita ad una concatenazione di eventi che lo rendono, alla fine, reale. Internet, per esempio, era l’oggetto impossibile: tecnicamente, per la stupidità dei protocolli e l’eccessivo overhead di ogni pacchetto, ma anche economicamente per i modelli di cooperazione non soggetti a vincoli economici diretti tra fornitore/produttore e cliente/fruitore che presupponeva. Eppure qualcuno l’ha immaginata e poi è irresistibilmente diventata quella che conosciamo. Da ingegnere non posso che stupirmi dell’elasticità dimostrata dall’insieme dei protocolli che stanno alla base della Rete, capaci di funzionare con velocità di trasmissione dati da 1000 bps a 100 Gbps – una differenza di ben otto ordini di grandezza! Per non parlare della capacità di mettere insieme oltre un miliardo di computer sulla base dei principi pensati per poche decine di nodi.
La Natura “fa salti”, con buona pace di Linneo: basta la fisica quantistica a dimostrarlo, ma anche la biologia molecolare e la teoria dell’evoluzione portano buoni argomenti.
Anche la tecnologia procede per salti, non solo perché il processo di innovazione ha molto in comune con i meccanismi genetico-evolutivi della natura, ma anche per la funzione abilitante di tante tecnologie, moderne e non solo. Il progresso tecnologico non è un continuum, un cammino lineare - o esponenziale: si passa una soglia, si supera una barriera, ed ecco che cose che prima erano impensabili diventano possibili, qualcuno le immagina, e queste diventano reali e rapidamente si diffondono, fino a determinare un cambio di paradigma, una evoluzione (con contorno di estinzione del meno adatto) che nulla ha da invidiare ai fenomeni di natura.
Provo a fare qualche esempio, tratto dalla mia oltre che ventennale frequentazione delle reti. La prima ARPAnet viaggiava su linee dedicate affittate a 56 kbps; con il passaggio a linee più veloci, a 1 Mbps, il fenomeno del collasso improvviso dell’intera rete non fu più un problema, validando quindi il principio di “rete stupida, terminali intelligenti, nessun controllo diretto del flusso dei dati” alla base degli Internet Protocols. Nella seconda metà degli anni ’90 il traffico telefonico per accedere a Internet arrivò a superare quello delle comunicazioni voce, creando forti squilibri sia in USA (a detrimento degli operatori telefonici e a favore degli “Internet Service Providers”), sia in Europa e in Italia (dove la tariffazione urbana a tempo e la logica dei costi di terminazione telefonica giocarono invece a favore degli operatori telefonici, incumbent o alternativi che fossero).
L’ adozione della tecnologia DSL per l’uso “in condominio” del doppino in rame per la fonia e per la trasmissione dati, avviò una transizione molto rapida che nel giro di 2-3 anni portò la “larga banda” ad essere il più diffuso mezzo di accesso alla Rete (almeno dove non esiste una alternativa basata sulla “cable TV”), mentre la “banda stretta” finì rapidamente relegata alla frontiera di utenti (quasi) “digital-divisi”.
Ecco così che il traffico voce, non più su un media analogico dedicato, ma trasformato in pacchetti di dati su un media digitale promiscuo, diventa una componente trascurabile dell’intero traffico di dati (multimediali), e la voce da tecnologia a sé diventa una applicazione, senza perdere qualità e anzi acquistando nuove funzioni, che a loro volta abilitano nuovi usi... Le velocità di accesso rese possibili dalla nuova tecnologia abilitante hanno permesso di rompere barriere prima considerate invalicabili; ecco quindi che la distribuzione di contenuti video (a bassa risoluzione) ha un costo marginale, e nasce YouTube. Ecco che la pressione di milioni di fruitori di video costringe a ripensare alle infrastrutture di distribuzione dei contenuti, e l’intera economia della distribuzione di film su cassetta e DVD va in crisi, soppiantata da quella online.
Non sempre il semplice miglioramento tecnologico è sufficiente a produrre quei salti salutari che hanno arricchito il nostro progresso. Al contrario, il miglioramento continuo può portare ad una stasi: facendo sempre meglio quello che già si fa, si creano ostacoli (quasi) insormontabili per le nuove idee, per chi pensa “out of the box”. C’è il rischio che questa nostra Rete funzioni così bene da bandire ogni forma di innovazione davvero dirompente? E si può evitarlo?
Non posso immaginare da dove nascerà (se non è già nata e non lo sappiamo ancora) la “prossima Internet”, ma posso provare ad immaginare in quale contesto e con quali nuovi paradigmi questa innovazione sia possibile. Innanzi tutto gli Internet Protocols sono diventati il fondamento di una industria universale: se IP sopravviverà alla migrazione ad IPv6, continuerà ad essere il connettore universale di alcuni miliardi di persone, qualcosa come 100 miliardi di oggetti, un’economia basata su moneta “liquida” ed idee alimentate da un mercato globale. Ma non è detto che tutte le sorgenti di contenuti potranno essere accomodate all’interno del perimetro di IP: per muovere in modo veloce ed efficiente contenuti in forma digitale, grandi volumi di dati, saranno necessari paradigmi diversi, ma non necessariamente nuovissimi.
Ad esempio, l’evoluzione della comunicazione ottica, la disponibilità di interconnessioni fatte di fibre spente su lunga e lunghissima distanza da un lato e di ragnatele di fibre distribuite capillarmente nelle aree metropolitane dall’altro, rende nuovamente attuale il paradigma della commutazione di circuito, contrapposto alla commutazione di pacchetto. Se quest’ultima era considerata un’eresia ai tempi in cui “telecomunicazione” faceva rima con “monopolio”, la diffusione di Internet ha imposto ovunque il paradigma del “packet” come minima unità di dati che trasporta un carico utile promiscuo, e che viaggia ovunque a qualsiasi velocità.
Su una Rete basata su questi principi, l’innovazione finisce per essere limitata all’ottimizzazione dei protocolli, oppure alla ricerca di nuove applicazioni e servizi: non è più un pensiero out of the box. Il salto tecnologico abilitante è quello reso possibile dalla tecnologia ottica: su una singola tratta ottica possono viaggiare circuiti (virtuali) completamente indipendenti a velocità di 1, 10 o magari 100 Gbps, che possono essere riconfigurati manualmente per le varie esigenze. Può essere un nuovo cambio di paradigma: invece di ragionare di pacchetti di pochi bit, instradati su reti complesse e - potenzialmente - tempo-varianti, la materia prima sarebbe costituita da flussi ad altissima velocità, semi-permanenti.
È ancora presto per ipotizzare un mondo di telecomunicazioni dove ogni persona avrebbe uno o più “lambda” a disposizione, ma si può immaginare una specie di Meccano (o di “Lego”, anche le generazioni dei giochi paradigmatici cambiano nel tempo... chi ricorda ancora il Meccano, a parte Wikipedia?) con cui realizzare topologie ad hoc con cui si possa facilmente sperimentare nuove reti e nuove modalità di funzionamento. “Sperimentare facilmente” è quasi un ossimoro: non è nel chiuso dei laboratori di R&D degli operatori di telecomunicazione che possono nascere le nuove idee.
Ma una rete scientifica che abbia fatto il salto alla gestione diretta delle dark fibers può avere risorse sufficienti per permettersi di “sprecare” circuiti virtuali ottici con cui provare sul campo nuove reti e nuovi paradigmi di comunicazione, con la libertà di esplorare strade nuove che possono fallire o, talvolta, portare a rivoluzioni globali.
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