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MindBot

MindBot: innovazione tecnologica al servizio dei lavoratori

| Marta Mieli | La voce della comunità

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Creare luoghi di lavoro in cui la difficoltà delle attività lavorative è abbinata alle abilità e allo stato psicofisico dei lavoratori, prevenire esperienze negative di ansia o noia e apatia che possono portare a malattie mentali, questi sono alcuni degli obiettivi del progetto MindBot (Mental Health promotion of cobot Workers in Industry 4.0), un progetto europeo altamente innovativo nel campo della salute mentale sul posto di lavoro.

Questo interessante progetto, finanziato nell’ambito di Horizon 2020, mira dunque ad identificare metodi e implementare soluzioni per promuovere la buona salute mentale dei lavoratori che operano nell’industria 4.0. Il contesto è in particolare quello delle imprese manifatturiere che adottano robot collaborativi (cobot) nelle loro linee di produzione. Partecipano al progetto quattro Stati europei: l’Italia, col coordinatore IRCCS Medea, l’Università degli Studi di Milano, il CNR (con l’Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali Intelligenti per il Manifatturiero Avanzato, STIIMA) e GARR; il Belgio con l’azienda Biorics NV; la Germania, con il centro di ricerca DFKI, l’azienda Kuka, l’Università di Augsburg; la Croazia, con l’Università di Rijeka ed il Ministero del Lavoro.

Per saperne di più, abbiamo intervistato i protagonisti in campo: l’ing. Gianluigi Reni, Responsabile Area Tecnologie applicate, organizzazione e gestione dei servizi sanitari dell’Istituto MEDEA, Fabio Storm, (Ingegnere biomedico-IRCCS Medea), Mattia Chiappini (psicologo-IRCCS Medea) e Ettore Micheletti dell’associazione “La Nostra Famiglia” e da questo interessante colloquio possiamo affermare che il progetto Mindbot, entrato nel vivo delle sue attività, è un concreto esempio di alta tecnologia al servizio della persona.

Gli elementi innovativi riguardano l’integrazione di dati fisiologici del lavoratore, con una valutazione del suo stato emotivo con algoritmi di machine learning

Com’è nata l’idea di questo interessante progetto?

L’idea nasce dalla convinzione che i cobot, cioè i robot collaborativi che condividono spazi di lavoro e mansioni con il lavoratore, possano essere progettati e configurati non solo per portare a termine attività lavorative in maniera efficiente e sicura, ma anche per far sì che la parte più vulnerabile della forza lavoro, cioè l’uomo, sia tutelata dal punto di vista della salute mentale.

Quali sono le principali attività che state portando avanti?

Il progetto è strutturato in tre fasi. La prima consiste nella raccolta di dati sia in laboratorio che in aziende manifatturiere, per una prima valutazione dell’attuale stato di fatto. In questa fase, durante le simulazioni del processo produttivo in laboratorio, vengono coinvolte anche persone autistiche. Una delle ipotesi di progetto è che queste persone, spesso escluse dal mercato del lavoro per le loro peculiarità comportamentali, possano invece avere grandi possibilità occupazionali nel mondo dell’industria 4.0, grazie alle loro abilità cognitive nella media o superiori.

La seconda fase, in corso, consiste nello sviluppo tecnologico della piattaforma cobotica MindBot, che sarà poi testata nella fase finale del progetto, prevista a partire dal 2022. Gli elementi innovativi di questa piattaforma riguardano l’integrazione di dati fisiologici del lavoratore, con una valutazione del suo stato emotivo attraverso algoritmi di machine learning, e l’implementazione di un avatar sociale, virtuale ed interattivo in grado di interagire in maniera naturale con l’operatore.

Quali sono i principali risultati attesi?

Un primo risultato atteso riguarda una miglior comprensione delle condizioni dei lavoratori che utilizzano tecnologia cobotica nell’ambito dell’Industria 4.0. Attualmente, le evidenze in tal senso sono limitate e principalmente connesse a contesti sperimentali di laboratorio, con durata limitata nel tempo ed eziologicamente poco rappresentativi. A partire da questa miglior conoscenza, i principali risultati attesi del progetto si sviluppano su più fronti: la definizione di linee guida organizzative per la progettazione di un ambiente di produzione basato su cobot in grado di promuovere la salute mentale dei lavoratori; la definizione di un modello occupazionale per le persone con autismo impiegate nelle piccole e medie imprese manifatturiere che adottano cobot; lo sviluppo di un prototipo di piattaforma collaborativa, MindBot, che tenga conto anche delle condizioni di benessere mentale del lavoratore.

Per la definizione di un modello occupazionale che soddisfi gli obiettivi prefissati, sono necessari dati provenienti da più ambiti disciplinari. Come vengono poi raccolti ed elaborati?

La raccolta e gestione dei dati in un progetto profondamente multidisciplinare come Mindbot riveste un ruolo cruciale. I tipi di dati raccolti sono fortemente eterogenei: si va dai classici questionari da somministrare ai lavoratori, ad interviste strutturate, fino a dati fisiologici raccolti attraverso sensori indossabili e riprese video. Per la raccolta di tutti i dati si è scelto di utilizzare il più possibile tecnologie digitali ed automatiche per assicurare la massima accuratezza e sicurezza. Tutti i dati, sia grezzi che elaborati, confluiscono all’interno del repository di progetto, ospitato dai server del GARR. A supporto del progetto, GARR offre un ambiente in cloud sicuro e velocemente accessibile da tutti i siti europei dove avviene la raccolta dati.

In che modo una rete affidabile e sicura come la rete GARR può aiutare nel processo?

Mappa Mindbot

Mappa Mindbot

La rete GARR riveste una grande importanza all’interno del progetto MindBot. GARR infatti ospita sia il repository di progetto, predisposto per contenere tutti i dati raccolti nell’arco dei tre anni previsti di lavoro, sia la piattaforma di sviluppo software, che permette agli sviluppatori del progetto di caricare il proprio codice e gestire le modifiche alle varie versioni in contemporanea. Un ulteriore valore aggiunto delle infrastrutture rese disponibili da GARR è la loro conformità a tutti gli standard normativi e regolatori richiesti dalle legislazioni nazionali ed internazionali.

Per definire i fattori di protezione e di rischio per la salute mentale durante l’attività con i cobot, viene usato il modello SHELLO. Può spiegarci di cosa si tratta?

Il modello SHELLO (Software, Hardware, Environment, Liveware, Organization) è un modello in grado di classificare fattori di protezione e di rischio per la salute mentale in maniera organica all’interno di realtà complesse. Questi modelli prendono il nome di modelli sociotecnici perché comprendono elementi sia tecnici che umani e si applicano molto bene all’industria 4.0, in cui l’interconnessione tra tecnologie e fattori umani è particolarmente elevata.

Tra i fattori considerati, il Software non considera solo i codici computazionali, ma anche le regole che disciplinano le attività e le procedure; l’Hardware riguarda gli elementi fisici dell’ambiente; l’Environment (ambiente) descrive gli aspetti di interesse appartenenti al luogo fisico in cui le attività si svolgono; il Liveware si riferisce alle persone che interagiscono tra loro e con le macchine; Organization valuta gli elementi organizzativi che caratterizzano l’azienda e la forza lavoro. L’applicazione di questo modello permette una visione complessiva e articolata del contesto in cui si opera, facilitando sia le fasi di sviluppo tecnico del nuovo cobot, che la sua introduzione in azienda.

In che modo persone autistiche possono aiutare nella progettazione di un cobot “amico della salute mentale” e nella realizzazione del prototipo di MindBot?

La mansione principale dei consulenti autistici che lavorano all’interno del progetto Mindbot è quella di fare da “intermediari” tra i cobot e gli umani. La loro particolare sensibilità può permettere di identificare elementi di disturbo ed elementi protettivi per la salute mentale durante le fasi di valutazione della piattaforma. Ad esempio, per evitare apprensione, è bene pensare a movimenti che non siano troppo aggressivi e ad una giusta distanza fra uomo e cobot. Considerato il ruolo importante che controllo e prevedibilità giocano nelle persone autistiche, spie luminose potrebbero essere utili per avvisare il lavoratore delle “intenzioni” del cobot, riducendo gli elementi di stress legati al trovarsi di fronte a macchine che agiscono secondo regole non evidenti all’operatore.

Anche la sensorialità è un elemento delicato per alcune persone autistiche e cobot lisci al tatto e poco rumorosi potrebbero rappresentare elementi di vantaggio per il benessere del lavoratore. Analogamente, per ciò che riguarda l’ambiente, risulterebbero importanti una bassa rumorosità e luci ben strutturate e modulabili.

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