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Sostenibilità digitale

Sostenibilità digitale: alla ricerca di un equilibrio fondamentale

| Carlo Volpe | Caffè scientifico

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Siamo immersi nelle tecnologie digitali: un valido aiuto per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ma che necessitano a loro volta di scelte sostenibili.

foto di Stefano Epifani

Stefano Epifani, Presidente della Fondazione Digital Transformation Institute, è autore del libro Sostenibilità digitale. Perché la sostenibilità non può prescindere dalla trasformazione digitale

Al tema del complesso rapporto tra sostenibilità e digitale è stata dedicata l’edizione 2021 della Conferenza GARR dal titolo significativo Sostenibile/Digitale. Dati e tecnologie per il futuro, che ha visto illustri speaker affrontare la questione da diverse angolature.

La parola chiave che ha accomunato gli interventi è stata la ricerca dell’equilibrio, ovvero la necessità di vivere il presente con uno sguardo attento al nostro futuro. Diversamente da quanto si possa immaginare a primo impatto, la sostenibilità non è solo la salvaguardia dell’ambiente, ma un intreccio complesso di ambiente, società ed economia, con un’attenzione anche ai temi etici. All’interno di questo sistema complesso, il digitale allora può giocare un ruolo fondamentale perché è parte integrante dell’ecosistema e può incidere in diversi modi: nell’abbattimento dei consumi di energia e risorse, nel risparmio dei costi, ma soprattutto accelerando lo scambio di idee e conoscenze, grazie alle reti di telecomunicazione.

La sostenibilità è un problema sistemico e complesso e va affrontato nelle sue diverse dimensioni: ambientali, economiche e sociali

Per approfondire l’argomento, abbiamo intervistato uno dei relatori della Conferenza GARR: Stefano Epifani, docente alla Sapienza Università di Roma e presidente del Digital Transformation Institute – Fondazione di ricerca per la sostenibilità digitale, oltre che autore di un libro, Sostenibilità Digitale, che affronta proprio questi temi.

Che rapporto c’è tra sostenibilità e digitale, perché sembra essere un binomio imprescindibile?

La sostenibilità è un problema sistemico e complesso. Nei sistemi complessi la logica d’analisi è inferenziale e questo, ovviamente, richiede strategie particolarmente flessibili e modelli d’azione adattivi.

Complessità, inferenzialità ed adattività fanno della sostenibilità, che non è da guardare nella sua sola dimensione ambientale ma che va, appunto, presa in considerazione nell’articolato sistema di correlazioni tra dimensione ambientale, economica e sociale, un fenomeno particolarmente difficile da gestire, nei limiti nei quali può essere gestito. Ma queste stesse caratteristiche fanno della tecnologia digitale uno strumento particolarmente utile per gestirlo. Il digitale è un portentoso abilitatore di sostenibilità, in quanto fornisce gli strumenti per dare concretezza a modelli che altrimenti rimarrebbero del tutto teorici: si pensi a temi come l’economia circolare o la transizione energetica, piuttosto che all’agricoltura di precisione che, grazie all’informatica, ci consente di ridurre la chimica nei campi.

Meno si conoscono le tecnologie e più si temono. Il paradosso è che proprio chi è più vicino a posizioni ambientaliste è più spaventato dal digitale

Lo stesso digitale è anche un elemento che può guardare alla sostenibilità come ad un insieme di criteri che devono influenzarne lo sviluppo: si pensi alla questione della sostenibilità sociale delle piattaforme, piuttosto che agli impatti sociali ed economici dell’intelligenza artificiale, che chiamano la società a grandi scelte che possono trovare nella sostenibilità una linea di indirizzo concreta e solida. In questo senso quindi la relazione che lega sostenibilità e digitale è fatta di rapporti di azione e di retroazione che vanno analizzati con grande cura. Per questo dobbiamo parlare di sostenibilità digitale, come elemento sistemico, al contempo oggetto e soggetto, al pari della sostenibilità ambientale, della sostenibilità economica e della sostenibilità sociale.

Quali sono i maggiori rischi e quali le maggiori opportunità dell’uso delle tecnologie digitali in chiave di sostenibilità?

Spesso si dice che la tecnologia non è né buona né cattiva, ed è ovviamente vero. Tuttavia, se pure la tecnologia è neutra, i suoi effetti non lo sono. Per questo motivo, per comprendere quali sono i rischi e le opportunità che offre, dobbiamo partire dalla capacità di porci le giuste domande rispetto ad essa.

Come dicevamo, sostenibilità e digitale sono legati da rapporti di causa-effetto particolarmente forti e strutturali. È decisivo, quindi, comprendere la natura di questi rapporti e supportarne lo sviluppo utilizzando la sostenibilità come faro al quale puntare, ed in questo Agenda2030 è uno strumento utilissimo.
Nel mio libro, Sostenibilità Digitale, ho provato a riflettere proprio su questo tema definendo in maniera sistematica, per ognuno degli obiettivi di sviluppo sostenibile, da una parte come le diverse tecnologie e gli ecosistemi tecnologici potessero offrire opportunità concrete e dall’altra quali fossero le minacce insite in ogni sfida.

GARR sta percorrendo una strada importante mettendo in campo tecnologie e abilità verso il cooperativismo delle piattaforme, l’armonizzazione dell’accesso ai dati e alle risorse in rete

La verità è che non c’è una risposta semplice ed universale, ma ognuno di noi deve interrogarsi su come l’orizzonte della sostenibilità abbia un impatto sulla propria vita, sul proprio modello di business, sul proprio senso come istituzione. Ed in virtù di questo come la tecnologia possa aiutarci a sostenerlo in un mondo che proprio dalla tecnologia è rivoluzionato.

Come Digital Transformation Institute avete condotto una ricerca su questi temi. Cosa ne pensano gli italiani?

Abbiamo cercato di comprendere quali fossero, nella percezione degli italiani, le connessioni tra sostenibilità e tecnologia digitale. Quello che emerge è un quadro complesso dal quale si nota la grande confusione degli italiani, e tra essi dobbiamo mettere anche politici ed istituzioni, sul ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità.

Ciò emerge con forza anche a partire dalle priorità percepite: il 46% degli italiani ritiene prioritarie le scelte ambientali ed il 38% quelle orientate al benessere dell’individuo, con un residuale 16% che mette al primo posto le scelte economiche, ma allo stesso tempo una parte significativa di loro (ben il 62%) non è in grado di correlare la visione di sostenibilità che ritiene prioritaria con le scelte economiche e sociali che dovrebbero essere coerenti con essa.

Questa confusione ce la portiamo dietro anche quando si parla di relazioni con la tecnologia. Sono ben il 92% le persone che ritengono che il digitale sia fonte di opportunità (anche se il 71% ritiene che se ne debbano comprendere ancora i rischi), ma ben il 65% degli intervistati, sollecitati in maniera più specifica, sostiene anche che esso è fonte di diseguaglianza, perdita di posti di lavoro ed ingiustizia sociale.

È significativo, in tal senso, come la paura nei confronti della tecnologia aumenti proporzionalmente al diminuire della competenza: in altri termini meno si conoscono le tecnologie più le si temono. Questo ci deve insegnare molto sul ruolo centrale delle azioni delle istituzioni rivolte ad aumentare il livello di consapevolezza e di competenza digitali degli italiani di ogni età.

Vi aspettavate questi risultati oppure c’è stato qualche risultato particolarmente sorprendente?

In parte sono risultati che erano prevedibili: conferme ad ipotesi sviluppate guardando ad altri indicatori (come il DESI o i dati OCSE). Tuttavia sono emerse alcune evidenze particolarmente interessanti. Ad esempio, abbiamo analizzato il livello di correlazione tra conoscenza delle potenzialità delle tecnologie ed impatto reale sui comportamenti. Benché la maggior parte degli italiani abbia ben chiara l’urgenza di affrontare problemi come il cambiamento climatico (74%) e l’inquinamento (76%), la maggior parte di essi, che pur si dichiara consapevole delle opportunità che già oggi offre la tecnologia digitale per affrontare questi problemi, nella pratica quotidiana non fa quanto potrebbe per usarle come strumento di sostenibilità. Sono solo il 10% gli italiani che usano regolarmente applicazioni a supporto della riduzione dei consumi, mentre il 13% le usa raramente. Il 27% dichiara di non conoscerne l’esistenza, ma il dato più significativo è rappresentato da quel 49% che, pur specificando di conoscerne l’esistenza, comunque non le adotta. E la situazione non cambia di molto se ci si riferisce alle applicazioni per la gestione del ciclo dei rifiuti (che il 38% degli italiani non conosce ed il 35% non usa pur conoscendole) e per quelle dedicate ad abbattere gli sprechi alimentari (sconosciute dal 48% degli intervistati e non usate dal 38% di quanti dichiarano di conoscerne l’esistenza).

Ma c’è un altro elemento di grande interesse e, aggiungerei, preoccupazione: quanto più ci si avvicina a posizioni che potremmo definire dell’estremismo ambientalista tanto più si sposano opinioni tecnofobiche, arrivando al paradosso che proprio chi potrebbe avere la maggior sensibilità per cogliere la sfida della sostenibilità digitale (ossia le persone con attenzione alle Tematiche connesse a clima, ambiente, territorio) è più lontano, se non spaventato, dalla tecnologia.

Quale ruolo hanno o dovrebbero avere le università e la ricerca in questo contesto? Anche in termini di servizi, risorse e competenze da sviluppare?

La sfida per la sostenibilità è la sfida della cultura. Raggiungere gli obiettivi di sostenibilità dipende in larga parte dalla capacità del paese di esprimere una posizione sul suo futuro in un’ottica di corresponsabilizzazione attiva. Se non ci sentiamo parte del futuro che i nostri figli avranno il compito di costruire non ci impegneremo mai davvero per metterli nelle condizioni di poterlo fare.
Le università contribuiscono alla costruzione della coscienza collettiva, ma soprattutto sono responsabili della formazione delle competenze di chi nel futuro dovrà viverci. Quella dalla sostenibilità dovrebbe diventare una competenza trasversale ed un elemento portante nell’ambito delle STEAM, quando, ancora oggi, è considerata spesso una competenza verticale ed un ambito di nicchia. Se si escludono le offerte formative di alcuni poli di eccellenza, molti Atenei hanno proposte didattiche sui temi della sostenibilità che sono talvolta imbarazzanti quanto ad incapacità di porre il problema nell’unico modo nel quale è possibile affrontarlo, quello della logica di sistema.

L’università, quindi, così come anche la politica, le istituzioni, il mondo dell’informazione, ha una grande responsabilità. Senza queste leve è impossibile ottenere un cambiamento che parta dalla consapevolezza e sviluppi comportamenti virtuosi. In questo senso, GARR sta percorrendo una strada importante, come ha storicamente sempre fatto mettendo in condivisione le risorse. Le tecnologie e le abilità che mette in campo permettono di raggiungere risultati impensabili, come il cooperativismo delle piattaforme o l’armonizzazione dell’accesso ai dati e alle risorse in rete.

C’è davvero tanto da fare per trasformare un tema che oggi è sulla bocca di tutti più per moda che per sostanza in una questione che diventi davvero l’elemento portante dell’agenda politica e culturale del paese. Ed è una sfida che non possiamo permetterci di mancare.

Digital Transformation Institute

Sostenibilità digitale: i dati della ricerca

“Gli italiani e la sostenibilità digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano” è il titolo della prima ricerca italiana sul ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità nella percezione degli utenti, realizzata dal Digital Transformation Institute, Fondazione di ricerca per la sostenibilità digitale.

I risultati hanno evidenziato una incoerenza tra la convinzione dell’importanza delle tecnologie digitali per contribuire ad una maggiore sostenibilità (il 92% del campione le vede come un’opportunità) e i comportamenti effettivi.

Inoltre, tra i diversi profili, coloro che indicano la natura come valore primario rispetto all’economia o agli interessi collettivi hanno una percezione più alta della tecnologia come minaccia (10,5%) rispetto a chi vede la natura come strumentale rispetto all’economia (1,9%).

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