Skip to main content

Tempi difficili per l’FP10?

| Marco Falzetti | Internazionale

Articolo letto 12 volte

Il futuro del prossimo programma quadro UE è incerto: tra proposte di riforma e rischi di frammentazione, la ricerca europea si trova davanti a una scelta strategica cruciale

Ci eravamo lasciati, nel numero di dicembre dello scorso anno, con il racconto di una situazione in profonda evoluzione, già attraversata da segnali che rendevano difficile immaginare come sarebbe stato il futuro della politica europea di ricerca e innovazione nel prossimo Programma quadro, l’FP10.

All’inizio di marzo di quest’anno, APRE ha organizzato un evento presso il Parlamento Europeo a Bruxelles. L’incontro ha rappresentato un momento importante per discutere non solo gli esiti del gruppo di esperti che ha contribuito al documento di posizionamento dell’Agenzia su FP10 — pubblicato nel giugno 2024 — ma anche per confrontarsi con numerosi ospiti rilevanti sul dibattito in corso che coinvolge la comunità europea e nazionale della ricerca e dell’innovazione.

foto di Marco Falzetti

Marco Falzetti è Direttore di APRE, l’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea

L’evento è stato un’occasione preziosa per riflettere su come questo dibattito stia cambiando e debba necessariamente essere ridefinito alla luce dei potenziali cambiamenti in atto. Non è infatti un segreto che la Commissione europea abbia delineato – sebbene non ancora ufficialmente – l’intenzione di inserire la ricerca e innovazione finanziata direttamente da Bruxelles all’interno di un più ampio Fondo per la Competitività. Questo strumento dovrebbe sostenere, in chiave trasversale, settori strategici fondamentali per rafforzare la capacità dell’Europa di competere con altri grandi sistemi globali nello sviluppo e nell’applicazione di tecnologie strategiche.

Inquadrando questa proposta nel contesto geopolitico attuale, in rapido mutamento, emergono con forza nuove priorità che stanno ridefinendo l’agenda europea. Temi come la difesa e la resilienza del sistema europeo stanno guadagnando centralità, forse anche a scapito di alcune priorità storiche della politica europea per la ricerca e l’innovazione, coltivate per oltre due decenni. L’incertezza che circonda il futuro dell’FP10 è dunque il riflesso di un più ampio ripensamento strategico.

Al momento, non è possibile fare previsioni definitive. Ci si attende per la metà dell’anno, indicativamente entro luglio, una prima proposta da parte della Commissione sul nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (MFF). Solo successivamente si potrà discutere concretamente dei programmi attuativi, ovvero degli strumenti che andranno a supportare i meccanismi di spesa delineati nel nuovo bilancio. Nonostante ciò, le posizioni iniziano a delinearsi con chiarezza. Accanto all’ipotesi, piuttosto dirompente, avanzata dalla Commissione, che mette in discussione l’impianto tradizionale del Programma quadro, si registra una reazione compatta delle altre istituzioni europee e della comunità scientifica.

Il Programma quadro ha rappresentato l’infrastruttura invisibile dell’Europa della conoscenza e ha contribuito alla costruzione di una comunità della ricerca e dell'innovazione coesa e con una visione comune

Il Consiglio dell’UE, attraverso la Dichiarazione di Varsavia dei Ministri della ricerca, e il Parlamento europeo, tramite il lavoro del Comitato ITRE e i relativi pareri, hanno espresso chiaramente la volontà di mantenere un Programma quadro autonomo, forte e ben definito. A ciò si aggiunge il sostegno pressoché unanime della comunità europea della ricerca e dell’innovazione, che chiede con forza la conferma di un FP10 ambizioso, riconoscibile e indipendente, in grado di affrontare le sfide globali e garantire coerenza e visione alla politica europea in questo settore.

Tutto questo delinea un potenziale confronto acceso, con la Commissione apparentemente isolata nella sua proposta, non ancora formalizzata, di fondere gli attuali programmi, incluso Horizon Europe, all’interno di un più generico Fondo per la Competitività. Pur mancando ancora dettagli ufficiali su struttura e governance, possiamo già ricostruire il pensiero alla base di questa direzione, a partire dalla risposta che la Commissione ha tentato di dare, con il documento sul Competitiveness Compass, al rapporto consegnato da Mario Draghi nel settembre 2024.

Quel rapporto, di forte impatto, ruotava attorno a tre pilastri:

  • un’azione coordinata per migliorare l’ambiente imprenditoriale;
  • una politica industriale espansiva, orientata alla transizione verde e alla sicurezza economica;
  • un massiccio piano di investimenti pubblici finanziati in modo centralizzato, anche attraverso debito comune.

La risposta della Commissione, pubblicata nel gennaio 2025, è il Competitiveness Compass: un documento che riprende alcuni spunti del rapporto Draghi ma ne ridimensiona l’ambizione.

Il Compass propone un’agenda articolata di "abilitatori orizzontali" per la competitività (dalla semplificazione normativa, all’integrazione del mercato unico, dallo sviluppo delle competenze all’accesso al capitale) e un rafforzamento della politica industriale europea focalizzata su settori strategici come il clean tech e l’automotive. Una differenza sostanziale, però, riguarda la questione del finanziamento: il Compass abbandona l’idea di un bilancio centralizzato e opta invece per una maggiore flessibilità negli aiuti di Stato. Per garantire coerenza tra politiche nazionali e obiettivi comuni, propone l’istituzione di uno strumento di governance: il Competitiveness Coordination Tool (CCT).

L’intento è chiaro: rafforzare il coordinamento europeo anche in assenza di una capacità fiscale federale. Tuttavia, se il Compass offre una direzione politicamente più realistica, resta aperta la questione della sua effettiva efficacia. La forza del documento risiede nella chiarezza dell’intento; la sua debolezza potenziale è tutta nella capacità, ancora da dimostrare, degli Stati membri di tradurre in atti concreti quanto tracciato. In questo senso, più che una svolta, il Compass rappresenta l’inizio di un cammino lungo e incerto, la cui riuscita dipenderà dalla volontà politica e dalla capacità tecnica di renderlo operativo.

Ed è proprio qui che si apre una riflessione più ampia: come si inserisce, in questo nuovo quadro, il futuro dell’FP10? Quale ruolo può ancora giocare un Programma quadro di ricerca e innovazione europeo in una visione che rischia di diluire gli strumenti tradizionali in una logica competitiva più ampia, e forse meno strutturata?

Il bilancio, anche se ancora provvisorio, offre segnali contrastanti. Da un lato, vi è un riconoscimento chiaro del ruolo centrale della ricerca come leva per la competitività europea, in particolare nei settori tecnologici strategici. Dall’altro, si intravede il rischio di disperdere quel patrimonio costruito negli ultimi trent’anni attraverso i Programmi quadro, strumenti che — pur con difetti e limiti — hanno assicurato coerenza, visione e un approccio sistemico alla governance della ricerca e innovazione in Europa.

La possibile mancanza, in futuro, di una governance dedicata e sufficientemente robusta per gestire risorse e strategie di ricerca e innovazione in modo integrato, multidisciplinare e anche con una capacità di valorizzare dimensioni duali (civile/difesa), rappresenta un rischio concreto. Che piaccia o meno, questa governance è stata garantita dai Programmi quadro che si sono susseguiti nel tempo.

Se il momento attuale richiede cambiamenti profondi, ciò non implica necessariamente la demolizione di quanto costruito finora. Si tratta, semmai, di avere il coraggio di rimettere in discussione paradigmi consolidati, ma senza azzerare le conquiste ottenute. Il passaggio dal Programma Horizon 2020 a Horizon Europe fu accompagnato dallo slogan "Evolution, not Revolution". Forse oggi, nel passaggio da HE a FP10, dovremmo adottare un nuovo motto: "Revolution, not Destruction". Una rivoluzione sì, ma che non rinneghi ciò che di buono è stato costruito finora.

Temi come la difesa e la resilienza del sistema europeo stanno guadagnando centralità, forse anche a scapito di alcune priorità storiche della politica europea per la ricerca e l’innovazione

Il Programma quadro ha rappresentato, per molti versi, l’infrastruttura invisibile dell’Europa della conoscenza. Ha contribuito non solo al progresso scientifico e tecnologico, ma anche alla costruzione di una comunità di ricerca e innovazione europea coesa e con una visione condivisa. Smantellarlo o ridimensionarlo rischia di compromettere una delle poche vere politiche comuni europee che ha funzionato, e che ha saputo generare valore ben oltre la somma dei singoli progetti finanziati.

La posta in gioco va quindi oltre gli strumenti operativi. Ciò che è minacciato è la stessa identità dell’Europa come protagonista globale, basata su conoscenza, cooperazione e lungimiranza strategica. Il pericolo attuale è che la pressione di rispondere a crisi geopolitiche immediate porti a decisioni impulsive, dettate più dalla reazione che da una strategia solida. In momenti come questi, un dibattito critico è essenziale.

Ecco perché, oggi più che mai, serve una comunità della ricerca vigile, capace di contribuire con la sua voce non solo per difendere interessi settoriali, ma per riaffermare una visione d’insieme, coerente e lungimirante, del ruolo della conoscenza nello sviluppo del progetto europeo.

In breve

Cos’è FP10?

È il prossimo Programma quadro della Commissione europea per finanziare ricerca e innovazione, successore di Horizon Europe.


Perché il futuro di FP10 è incerto?

La Commissione valuta di inglobarlo in un più ampio Fondo per la Competitività, rischiando di ridurne autonomia e visione strategica.


Qual è la posizione della comunità scientifica?

Università, centri di ricerca e Parlamento UE chiedono un FP10 autonomo, ambizioso e capace di sostenere la competitività europea.