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Horizon2020 e oltre: l’evoluzione continua
Horizon2020 e oltre: l’evoluzione continua

Horizon2020 e oltre: l’evoluzione continua

| Marco Falzetti | Internazionale

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Orizzonti (ancora) in evoluzione in vista del prossimo programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione

Il mio intervento nel numero 15 di GARR NEWS titolava: Orizzonti in evoluzione per Horizon 2020. In quel contesto, a distanza di circa un anno, avevo fornito alcune informazioni e lanciato alcuni spunti di riflessione circa il nuovo Programma Quadro di Ricerca ed Innovazione dell’Unione Europea, chiamato FP9. Lo scenario è certamente evoluto rispetto ad un anno fa, tante cose sono accadute, anche importanti, ma ancora ad oggi il contesto è caratterizzato da molti punti oscuri, anche sostanziali.

Marco FalzettiMarco Falzetti
APRE - Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea
Direttore
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Fatte queste premesse, proverò quindi a muovermi all’interno dell’attuale scenario seguendo una logica tutt’altro che rigorosa, per cercare piuttosto di condividere un racconto fatto di luci ma, con ancora molte, troppe, ombre.

Partiamo dai soldi

Ancora troppe incognite gravano sulla questione del budget e lo slittamento della prima proposta del Multiannual Financial Framework (MFF) da dicembre 2017 a maggio 2018, la dice lunga su quanto la definizione del piano economico sia lontana dall’essere risolta.

AD OGGI IL CONTESTO È CARATTERIZZATO DA MOLTI PUNTI OSCURI, ANCHE SOSTANZIALI

La Brexit, e la conseguente incertezza del negoziato con il Regno Unito, che, con un volume di contribuzione pari a circa il 15% all’attuale bilancio dell’Unione, non aiuta a fissare i numeri sulla carta. A questo va aggiunto una generalizzata irrequietezza individuata da un numero sempre più importante di stati membri dell’Est Europa che, sebbene su questioni diverse dalla ricerca, stanno alimentando venti antieuropeisti con la conseguenza di rendere difficile pensare che quegli stessi paesi siano disposti ad assecondare con entusiasmo impegni di spesa futuri più ambiziosi, in particolare se questo dovesse avvenire a scapito dei fondi per l’agricoltura.

Se da una parte il Parlamento Europeo si esprimeva a giugno 2017 nella Commissione Ricerca, Energia, Industria (ITRE), attraverso la sua rapporteur, Soledad Cabezón Ruiz a favore di un “budgetary increase of EUR 100 billion for FP9”, dall’altra gli faceva eco indirettamente la Commissione europea con il report dell’High Level Group on maximising the impact of EU Research & Innovation Programmes, più comunemente noto come rapporto Lamy. Nel report Lamy si dichiarava: “at a minimum, the budget should maintain the average annual growth rate of Horizon 2020, taking the budget foreseen for the programme’s final year as a starting point. This would lead to a seven-year budget of at least €120 billion in current prices”. Quindi, nonostante una generalizzata volontà verso un incremento di budget, la decisione finale spetterà al Consiglio, e quindi saranno gli stati membri a decidere in che misura mettere mani ai portafogli.

SARANNO GLI STATI MEMBRI A DECIDERE IN CHE MISURA METTER MANO AL PORTAFOGLI

Quindi, al di là di un’incertezza sul quanto, ovvero sul valore del budget finale che si deciderà di allocare per FP9, vi è anche una questione sul metodo, ovvero di come e quanto questa incertezza sul budget si rifletterà sul processo, rallentando la definizione del nuovo FP9. Come già avvenuto in passato, c’è da aspettarsi che la Commissione proceda nella definizione della struttura del programma indipendentemente dalla completa definizione del budget, puntando ad una soluzione “adattabile” una volta noti i volumi finanziari a disposizione.

Le certezze

In un generalizzato quadro di incertezze, ci sono ovviamente elementi di stabilità che dovranno unicamente trovare una loro reinvenzione nel naturale contesto di rinnovamento che bisogna aspettarsi dal passaggio da un programma quadro al successivo. In questa categoria dobbiamo certamente annoverare in particolare alcuni elementi essenziali del primo pillar di H2020, ovvero strumenti quali lo European Research Council e gli schemi Marie Skłodowska-Curie. Della serie “squadra che vince non si cambia”, in questo caso la generale positiva performance, dovuta essenzialmente ad un generalizzato positivo apprezzamento di questi due programmi, fa immaginare che per loro il futuro ponga unicamente problematiche di intensità di budget e come già indicato qualche restyling di ringiovanimento.

Come si può evincere dai limitati elementi proposti in questo paragrafo, le certezze risultano essere al momento molto meno numerose rispetto alle incertezze. È ovvio che anche allo stato attuale si potrebbero riempire pagine e pagine di ragionamenti anche limitandosi a questi due principali esempi, volendo con questo dimostrare che con il termine “certezze” non si è voluto relegare questi due fondamentali aspetti a oggetti privi di importanza (anzi!), si spenderanno su questi tante energie nella loro traslazione da H2020 a FP9. Diciamo però che qualunque cosa esca da questo esercizio avrà una forma più o meno immaginabile, e comunque non lontana da quelli che anche ora si delineano come possibili evoluzioni e miglioramenti.

Le incertezze

Su questo fronte l’elenco degli aspetti di FP9 attualmente sotto discussione e soggetti ancora a potenziali forti cambiamenti o nuove definizioni sono davvero tanti. Limitandosi ad enunciarne i principali, possiamo certamente riferirci ad una serie che spazia da quelli più sostanziali a quelli più accessori. Tra questi la struttura del programma, l’approccio mission-oriented e lo European Innovation Council.

La struttura del programma sembra più o meno delinearsi sempre intorno a tre assi principali che reinterpretano, senza neanche troppe divagazioni l’impianto di H2020. In questo, la proposizione ispirata da Lamy con i suoi tre LAB-FAB-APP (laboratorio, Fabbrica, Applicazione) non ricalca integralmente i tre pilar Excellent Science, Industrial Leadership, Societal Challenges di H2020, ma ne mantiene in sostanza lo spirito.

EUROPEAN INNOVATION COUNCIL, UNA DELLE VERE NOVITÀ DI FP9, RESTA UNO DEGLI ASPETTI PIÙ CONTROVERSI E DIBATTUTI

Sul fronte dell’approccio mission-oriented la confusione regna ancora sovrana. In particolare si sconta a tutt’oggi una scarsa chiarezza di cosa realmente intende la Commissione con il termine “missione”. Tale poca chiarezza nasce anche dall’attuale discussione interna ai vari servizi della Commissione che stanno tentando, anche singolarmente, di reinterpretare in chiave di mission-oriented il loro stesso attuale operato con l’obiettivo di ricollocare i rispettivi dossier (e servizi) in uno schema futuro. Se da una parte tale operazione è comprensibile e motivata anche dalla necessità di “assicurarsi” una propria sopravvivenza, dall’altra sarebbe invece auspicabile che la Commissione europea tentasse inizialmente e coralmente di definire meglio cosa si intende per missione e come e perché tale definizione diventa funzionale alla nuova struttura di FP9. La recente iniziativa del Commissario Moedas di coinvolgere la professoressa Mariana Mazzucato nel supporto al processo di definizione delle mission è un’ulteriore conferma dell’interesse del Commissario a controllare direttamente il processo. Nei fatti, ci si attende di avere a breve una comunicazione della Commissione sulla questione missioni, nella quale la stessa Commissione europea dovrebbe proporre un numero limitato di missioni (circa una decina) intorno alle quali lanciare nei primi mesi del 2018 una consultazione pubblica. L’obiettivo dovrebbe essere duplice: da una parte cominciare ad individuare le principali mission di FP9, e dall’altra contribuire a chiarire attraverso questi esempi cosa in realtà la Commissione intende per mission di FP9.

Lo European Innovation Council, una delle vere novità di FP9, creatura direttamente ispirata e voluta dal Commissario Moedas, resta al momento uno degli aspetti più controversi e dibattuti. Fondamentale e sostanziale elemento strutturale del prossimo programma o semplice contenitore aggregante di strumenti già esistenti? L’idea di creare un single gate per l’innovazione contribuendo di fatto ad alimentare la creazione di un ecosistema per l’innovazione è una obiettivo ambizioso e non facilmente realizzabile, che si scontra ancora al momento con una serie di profonde discussioni, quali ad esempio la decisione di concentrarsi solo ed unicamente su innovazione breakthrough o anche incrementale. In realtà la situazione è anche complicata dalla confusione che troppo spesso si fa nell’uso di termini apparentemente simili, ma che hanno in realtà significati molto diversi nel lessico dell’innovazione. Termini quali disruptive, breakthrough, radical non indicano lo stesso tipo di innovazione, e un loro corretto uso diventa fondamentale per evitare di aggiungere ulteriore confusione alla già citata discussione. A tale proposito è interessante la lettura di un piacevole articolo pubblicato su Nòva dal prof. Alberto De Minin sul reale significato di questi termini.

Sul fronte dei temi ed aspetti che possono a ragione ancora essere annoverati tra le incertezze si potrebbe continuare a parlare per ore: sinergie tra fondi diretti ed indiretti, la rivisitazione degli strumenti di partnership (cPPP, JU, JPI, ecc.), equilibrio tra grant e loan, KETs, lump sum e tanti altri aspetti. Trattare singolarmente ed in maniera esaustiva questi temi richiederebbe spazi che esulano da queste generali considerazioni.

Se da un lato questo quadro di incertezze può creare disorientamento e preoccupazione, dall’altro rappresenta anche un momento di profonda ed interessante riflessione che è di fatto anche un’opportunità da cogliere. APRE, come vari altri soggetti nazionali coinvolti in questo esercizio, ha percezione delle opportunità che il momento offre e della necessità di prepararci a contribuire in questa fase inziale alla definizione dei contenuti, ma soprattutto è consapevole dell’importanza di reagire alle proposte che la Commissione europea metterà sul tavolo nei prossimi mesi, nei tempi (brevi) e modi che la Commissione richiederà.

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