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Horizon Europe: prime considerazioni

Horizon Europe: prime considerazioni

| Marco Falzetti | internazionale
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Alla data di pubblicazione di questo articolo la gran parte dei risultati della partecipazione ai primi bandi di Horizon Europe (bandi 2021) saranno oramai disponibili.

foto di Marco Falzetti

Marco Falzetti è direttore di APRE, l’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea

La fotografia del primo dei sette anni di programma che ci accompagneranno nella programmazione 2021-2027 è di fronte a noi e anche se mancano ancora alcuni dettagli, possiamo cominciare a spingerci un po’ più in là, parlando di primi segnali sulla partecipazione italiana ai bandi 2021.

APRE ha avviato una prima analisi che si è basata sui dati di valutazione disponibili, quindi non ancora di contratti firmati, ma unicamente sui risultati delle valutazioni. Non sono dati per ora completi, mancano ancora i risultati di alcune call in pochi cluster, ma nell’attesa di avere un quadro definitivo, è ragionevole tentare una prima lettura dei numeri per cogliere almeno le macro tendenze di questa partenza di Horizon Europe.

Con eccezione dell’EIC Accelerator, che merita un discorso a parte che faremo in chiusura, si può affermare che la partecipazione alla prime call di Horizon Europe è partita sotto un segnale di continuità rispetto alla performance italiana in H2020. Premesso che un confronto tra numeri di due programmi strutturalmente diversi richiede le dovute attenzioni, abbiamo tentato un’aggregazione che ha permesso di fare un primo confronto per aree/cluster dei due programmi. Il confronto mostra tendenze al rialzo su taluni settori rispetto a H2020 e la sostanziale tenuta negli altri.

Quanto questo possa leggersi come un risultato positivo o negativo dipende molto dai criteri che utilizziamo per le metriche di confronto. Tentiamo qualche primo ragionamento.

Il risultato è positivo sul fronte della prima risposta al nuovo programma; non sono emerse particolari criticità rispetto a H2020, confermando che la nostra comunità nazionale si è ben adattate alle novità di Horizon. L’immagine di una tenuta delle posizioni di H2020 è quella che meglio rappresenta quindi ciò che è avvenuto con le call 2021 di Horizon Europe.

Può bastare? Certamente no. Si ricomincia da dove ci siamo fermati in H2020 con l’obiettivo in testa di incrementare non solo il volume della partecipazione, comunque mai bassa, ma la qualità della partecipazione italiana; vera chiave di volta per migliorare i nostri risultati nel programma in termini di ritorno e di successo.

Come farlo? Contribuendo ad innalzare il livello di conoscenza e padronanza del programma tra i partecipanti, andando a cercare quei sistemi che ancora non sono stati attori della partecipazione ma che hanno grandi potenzialità e cercando di fare un po’ più di sistema, parola sempre troppo abusata e invocata ma apparentemente poco compresa nel nostro paese.

Ma questa volta lo scenario è complicato da una nuova variabile. Bisogna fare i conti con le tante importanti nuove risorse che in questi ultimi tempi le azioni PNRR hanno reso e renderanno disponibili per la comunità italiana di ricerca ed innovazione. Se queste risorse sono certamente una grande opportunità da cogliere, non devono diventare l’alibi per allentare la presa su Horizon Europe.

Distrarsi anche solo per un paio di anni dalla competizione europea significherebbe perdere il passo con un programma impegnativo, che non concede pause e non mette da parte i finanziamenti in attesa di nostri ritorni. Quello che perderemmo oggi per una colpevole latitanza, non saremo in grado di recuperarlo con tanta facilità tra qualche anno. Non fermiamoci ora!

Torno a quanto inizialmente accennato sulla questione dei risultati dell’European Innovation Council (EIC), sicuramente una delle principali novità introdotte con il nuovo programma, parte fondamentale del terzo pillar e interamente dedicato a supportare il trasferimento della conoscenza generata verso la sua applicazione e al mercato.

Parlare semplicemente di risultati sul fronte EIC rischia, di portare ad una generalizzazione troppo vaga e forviante. Al suo interno ricordo, troviamo almeno tre grandi anime che idealmente guardano alla valorizzazione e all’applicazione della ricerca attraverso tre stadi che muovono dai TRL più bassi a quelli più alti: il Pathfinder, il Transition, l’Accelerator e che si rivolgono a soggetti e fasi dello sviluppo di soluzioni altamente tecnologiche tra loro molto diverse.

Tralasciando le prime due, sulle quali i primi risultati sembrano dare una sostanziale conferma, ma al rialzo, delle performance italiane che si sono registrate nel precedente programma H2020 in strumenti sostanzialmente simili (strumenti FET), la vera questione si pone sull’Accelerator. Grande e ambiziosa novità, che ha visto la Commissione proporre e promuovere uno schema pensato per supportare la nascita e/o lo sviluppo di imprenditoria basata su progetti altamente innovativi quello che la Commissione etichetta come disruptive innovation, ma soprattutto capace di arricchire l’offerta di una strumentazione finanziaria attraverso l’introduzione di logiche di finanziamento combinato di grant e/o equity. Tralasciamo al momento le innegabili difficolta implementative che questo nuovo schema sta dimostrando. Limitiamoci a valutare come sia andata la partecipazione italiana alle prime cut-off dell’Accelerator.

Le prime avvisaglie non sono incoraggianti per due motivi: un alto volume di domande non idonee allo strumento in questione (poco competitive) e una certa difficoltà del nostro sistema ad esprimere progetti innovativi ad alto contento disruptive. In realtà le due dimensioni sono evidentemente interconnesse e sono riconducibili al fatto che c’è un gran numero di aziende, soprattutto PMI, che si è rivolta all’Accelerator per cercare finanziamento di attività/progetti certamente innovativi, ma troppo ancora connessi ad innovazione incrementale piuttosto che davvero dirompente. Al tempo stesso è ancora troppo basso il ricorso allo strumento da parte di quelle realtà, tendenzialmente startup, che hanno grandi potenzialità di innovazione dirompente e che potrebbero quindi risultare competitive nella competizione europea. Si profila quindi una strategia di intervento che deve operare almeno su due diversi fronti. Da una parte affinare strategie per l’individuazione delle realtà italiane più promettenti e pronte ad una partecipazione potenzialmente vincente, e dall’altra reindirizzare la partecipazione di quelle PMI che non sono adatte per l’Accelerator, verso altre parti di Horizon Europe dove sia più credibile portare le loro attese di sviluppo e innovazione.

Con l’imminente chiusura della quasi totalità delle call 2022, avremo tra pochi mesi i nuovi risultati anche del secondo anno di Horizon Europe. I numeri cominceranno ad assumere una più robusta significanza statistica e avremo la possibilità di confermare o smentire quanto ad oggi percepito, ovvero: una buona partenza con tante luci da intensificare ulteriormente e alcune ombre da rischiarare con interventi immediati. Tutto questo …PNRR permettendo.

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